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30 maggio 2011

Referendum 12-13 giugno: quesito nucleare


Dunque Napolitano ha firmato la leggina ammazza-referendum. Se non altro ha firmato in fretta, in modo da evitare ulteriori perdite di tempo.
Il primo di giugno la Cassazione deciderà se il referendum sul nucleare si farà. In caso positivo rimarrebbe poco più di una settimana per informare e motivare al voto la maggioranza degli elettori. Difficile, ma non impossibile, considerata la diffusa avversione sociale al nucleare. In caso negativo, si andrà a votare ufficialmente per gli altri tre quesiti. Ma idealmente per quattro. E sarà un modo per affermare una forte riappropriazione di cittadinanza, contro chi usa ogni mezzo per sabotare equilibri e processi democratici.
Inutile dire che una vittoria dei SI’ - unitamente a un esito favorevole alle forze di opposizione dei ballottaggi per le elezioni amministrative di oggi - rappresenterebbe un duro colpo alla tenuta del governo. Il segno tangibile di quel “cambiamento di vento” per il quale da tempo in molti siamo impegnati.
Da domani, archiviate le elezioni, il raggiungimento del quorum e la vittoria dei SI’ ai referendum, tre o quattro che siano, dev’essere il nostro prossimo obiettivo.

26 maggio 2011

Taranto, o ti ribelli o muori!


Taranto - quartiere Tamburi: nelle vicinanze opera lo stabilimento siderurgico dell’Ilva, il più imponente stabilimento italiano e uno dei maggiori complessi industriali per la lavorazione dell'acciaio in Europa.
A pochi passi dalla città, dai polmoni, dagli alimenti.. Molto lontano dalla legalità, dalla coscienza, dalla ragione!
Taranto è una città destinata a morire. Di inquinamento.
Parchi minerali, cokerie e camini che logorano ed invecchiano giorno dopo giorno bambini, donne e uomini.
La diossina prodotta dagli impianti dell'Ilva nel 2002 ha rappresentato il 30,6% del totale italiano. Sulla base dei dati INES (Inventario Nazionale delle Emissioni e loro Sorgenti) del 2006, la percentuale sarebbe salita al 92%, contestualmente allo spostamento in loco delle lavorazioni "a caldo" dallo stabilimento di Genova.
A questo dramma si aggiunge altra tragedia.. sversamenti di mercurio in aria e in acqua. Oltre due tonnellate di emissioni. Di morte.
Il tutto coperto, ammortizzato ed ammesso dinanzi alle ormai quotidiane ed ordinarie minacce di contraccolpi occupazionali che seguirebbero eventuali chiusure o divieti. Minacce diventate ormai inascoltabili ed inaccettabili. Perdere la vita pur di non perdere il lavoro non può essere normale. Non per sempre.
Taranto ribellati!

«Quando avrete abbattuto l’ultimo albero, quando avrete pescato l’ultimo pesce, quando avrete inquinato l’ultimo fiume, allora vi accorgerete che non si può mangiare il denaro».
Ta-Tanka I-Yotank (Toro Seduto)

25 maggio 2011

E fece finta di non avere mai avuto paura.. Fece finta di non avere mai amato nessuna



"Nei suoi testi, macchiati dai forti toni del surrealismo, si vivono storie oniriche e tragicomiche di pagliacci, ubriachi e zingari innamorati. Partendo dalle sonorità e dai ritmi della musica popolare italiana Mannarino condisce il proprio mondo con elementi di musica balcanica e gitana, citazioni felliniane e evoluzioni circensi".
Signore e Signori vi presento Mannarino, artista dell'amore e ricercatore di felicità!

Ecco il testo de "L'Onorevole" presente nell'album Supersantos (2011).

Preso un lavoro e perso una donna
Andò sul canale a cercare la luna
Ma trovò nell'acqua salmastra L'altra sua faccia, solo più scura
E fece finta di non avere mai avuto paura
Fece finta di non avere mai amato nessuna
Andò al bar del cielo vuoto
Da bere costa poco
Lo paghi doppiamente solo il giorno dopo
Ordinò tre bicchieri pieni di ghiaccio e uno di perdono
E prese a costeggiare la via del superuomo
La mattina i colleghi dell'ufficio "Stomaco e conchiglie"
Lo trovavano pieno di rispetto
Sogno delle mogli, perfetto per le figlie
Prefetto, prefetto
La notizia del decesso arrivò nel pomeriggio
Nel vuoto giallo di un nuovo chiacchiericcio
Gli impiegati del partito andavano alla schiera
Con le gobbe ripiegate nella giusta maniera
La sua bara fu un leggio di frassino e betulla
E un discorso che diceva tutto e non diceva nulla
E davanti alle domande di una giornalista bella e bruna
Fece finta di non avere mai avuto paura
Fece finta di non avere mai amato nessuna
Il giorno seguente si presentò al lavoro
Con gli occhi vuoti e il raffreddore
Ed era deceduto solo da poco
Appena da dieci o dodici ore
Ma i segni della morte erano evidenti
E aveva biglietti della lotteria al posto dei denti
Fichi d'india al posto delle orecchie
Bacchette al posto delle mani
E al posto dei cani un branco inamidato di esseri umani

E quando gli dissero che l'economia era malata
E che la fame era la migliore cura
Fece finta di non avere mai avuto paura
Fece finta di non avere mai amato nessuna

Una settimana appena dopo il suo funerale
Aveva la testa rigirata sulla schiena
Ma trovò il modo di rimediare
Chiamò il generale Panciapiena
E ordinò i più feroci bombardamenti su tutti i suoi sogni passati
In difesa del popolo e dei giorni seguenti

A un anno dalla morte si vedevano solo le ossa
Era sparito tutto, persino la puzza
E guardava dall'alto della sua fossa la gente che manifestava nella piazza
E scorse fra la folla la sua amata
Con le lacrime in tempesta sopra il viso
E quando vide che veniva calpestata
Non si scompose, ma abbozzò un sorriso
E fece finta di non avere mai avuto paura
Fece finta di non avere mai amato
Di non avere mai amato nessuna

Amore mio come farò
Quest'inverno che t'ha gelato il sangue ti lusinga
Amore mio ti seppellirò
Questa notte che m'ha coperto il volto ti contenta

(Grazie a Lulù per questo testo)


www.angolotesti.it

24 maggio 2011

Falcone e Borsellino: due uomini soli diventati eroi.


Occhi osservano dall'alto della collina.

Occhi minacciosi, pieni di odio.

Occhi che hanno il colore del tritolo incrociano occhi buoni di uomini e donne.

Sono dentro un'automobile che corre verso la morte.

L'ultima corsa di Giovanni Falcone inizia all'aeroporto di Ciampino, a Roma, sabato 23 maggio 1992.

Sono le 16:50.

Un jet dei servizi segreti decolla con a bordo il giudice e la moglie Francesca Morvillo.

Destinazione Palermo, aeroporto di Punta Raisi.

Atterrerà 53 minuti dopo.

Li attendono 6 agenti con le loro auto, 3 Fiat Croma blindate.

Le vetture si muovono dall'aeroporto alle 17:50.

Falcone sceglie la Croma bianca.

Lui è al volante, la moglie gli siede di poco accanto.

Imboccano l'A29.

La campagna siciliana sfila ai lati con i suoi colori di maggio.

Il sole taglia di traverso i finestrini mentre un caldo vento di scirocco accarezza tutti i loro volti.

C'è odore di mare.

Palermo dista solo 7 chilometri.

Le auto si stanno lentamente avvicinando allo svincolo Capaci-Isola delle Femmine.

Dalle colline che sovrastano l'autostrada alcuni uomini seguono la scena, scatto dopo scatto, come se fosse la sceneggiatura di un film.

In un casolare vicino alla statale, ci sono i vertici di Cosa Nostra.

La Barbera sale sulla sua Lancia Delta e imbocca la strada che corre parallela alla Palermo - Punta Raisi.

Arrivato ad un punto prefissato si ferma e aspetta.

Gioè e Troìa inseriscono una ricevente vicino a 500 chilogrammi di esplosivo, in un tombino dell'autostrada.

Poi salgono con Brusca e Battaglia sulle colline di Capaci, sotto lo sperone di rocce bianche che interseca il profilo di Montagna Grande.

Sono le 17,56 minuti e 48 secondi, l'uomo della collina, Giovanni Brusca, sfiora il tasto del comando a distanza.

L'impulso raggiunge il tombino dove è collocata la ricevente.

I cinque quintali di tritolo, seppelliti nel canale di scolo, divampano, il boato è enorme, solleva cento metri di asfalto.

Nella prima auto catapultata a 5 metri gli agenti di scorta muoiono sul colpo: Antonio Montinaro, Rocco Di Cillo e Vito Schifani.

Giovanni Falcone e Francesca Morvillo moriranno all'Ospedale Civico di Palermo.

Paolo Borsellino lo ripeteva come fosse un'ossessione: «Il mio problema è il tempo».

Lo diceva in quei cinquantacinque giorni dell'estate 1992.

Il 19 luglio 1992 a Palermo è una domenica calda.

Paolo Borsellino e la sua scorta raggiungono via Mariano D'Amelio, una strada chiusa, ostruita al fondo da un muro di tufo. Paolo Borsellino fa giusto in tempo a citofonare al numero civico 21, quando alle sue spalle esplode una Fiat 126 carica di tritolo.

Muore sul colpo, e con lui i sei uomini della scorta: Antonio Vullo, Emanuela Loi, Walter Cusina, Claudio Traina, Vincenzo Li Muli e Agostino Catalano.

Così si moriva a Palermo. Soli. Senza la protezione dello Stato che si serve. Senza neanche il tempo di vivere.

Senza un saluto, senza aver chiuso l'ultima pagina di un'inchiesta.

Soli e minacciati. lavorando e basta. Soli.

Semplicemente soli.

Scriveva Giovanni Falcone:

"Un uomo fa quello che è suo dovere fare, quali che siano le conseguenze personali, quali che siano gli ostacoli, i pericoli o le pressioni. Questa è la base di tutta la moralità umana."

"Gli uomini passano, le idee restano. Restano le loro tensioni morali e continueranno a camminare sulle gambe di altri uomini."

"Non è retorico nè provocatorio chiedersi quanti altri coraggiosi imprenditori e uomini delle istituzioni dovranno essere uccisi perchè i problemi della criminalità organizzata siano finalmente affrontati in modo degno in un paese civile."

"Credo dovremmo ancora per lungo tempo confrontarci con la criminalità organizzata di stampo mafioso. Per lungo tempo, non per l'eternità: perché la mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una sua fine".
”In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere ".

Questa è la nostra memoria. Quella che non deve mai andare dispersa.

Grazie eroi.

Racconto liberamente tratto dall' articolo di Daniele Biacchessi “In memoria di Giovanni e Paolo. Un ricordo di Falcone e Borsellino a 19 anni dalla strage di Capaci.” presente sul sito www.cadoinpiedi.it

02 maggio 2011

Mistero, goliardia e vendetta nell'uccisione di Osama Bin Laden

Osama Bin Laden, il presunto autore degli attentati alle torri gemelle e al pentagono di quasi 11 anni fa è stato ucciso da un commando Usa ad Abbotabad, una cittadina di 30 mila abitanti sotto l'Himalaya, nella valle di Orash a nord di Islamabad.
La notizia è stata data direttamente dal presidente Obama, che ha anche detto di avere autorizzato lui stesso, una settimana fa, l'operazione compiuta.
A questa portentosa pagina della storia mondiale, dal peso politico enorme, vorrei accostare alcuni sostantivi, in modo tale da illustrare al meglio la portata dell’evento.

Mistero. Come ogni avvenimento politico di portata mondiale anche questa notizia porta con sé un visibile alone di mistero e mistificazione.
La prima foto del cadavere di Osama, per esempio, mostrata da tutte le televisioni del mondo e ripresa dai principali siti di informazione, si è rivelata essere un falso clamoroso. E’ stato appurato, infatti, essere un’ immagine evidentemente elaborata con programmi di editing.
Inoltre risulta molto interessante che tutto ciò è avvenuto nel giorno dell'anniversario della famosa dichiarazione del Presidente Bush "missione compiuta" alla fine della cosiddetta guerra ufficiale in Iraq e, soprattutto, a pochissime settimane dal freschissimo annuncio di ricandidatura alle elezioni presidenziali del 2012 di Obama.. una campagna elettorale, c’è da scommetterci, da cavalcare con lo scalpo del nemico terrorista.
Quindi il simbolismo di tutta questa operazione è fondamentale e va tenuto presente.

Goliardia. Gli americani sono tutti in piazza a festeggiare, sono felicissimi come se avessero vinto la Coppa del mondo di calcio. Migliaia di persone a Ground Zero per gioire della morte di Bin Laden: clacson che suonano per la città, si canta l’inno nazionale e si urla ‘Yes we can’.. i newyorkesi celebrano la morte dell’autore dell’attentato più sanguinoso in territorio americano. C’è chi arriva avvolto nella bandiera americana, chi piange, chi ricorda le vittime dell’attentato con fiori e candele. Manifestazioni assolutamente da rispettare ma che stridono con uno stato di tensione militare nel mondo intero che scaturisce da conflitti religiosi e culturali che appare sempre più lontano da una soluzione apprezzabile e, soprattutto, pacifica.

Vendetta. Il Presidente Obama ha detto "giustizia è fatta", quando in realtà non si è assistito a nessun processo. Osama Bin Laden è stato giustiziato un po' alla moda del far west. Purtroppo siamo scivolati nella indegna logica di occhio per occhio e dente per dente. L’uccisione delle 3 mila persone dell'11 settembre sulle Torri Gemelle si dice abbia finalmente trovato vendetta, rivincita. Nulla di più sbagliato. Metterla sul piano della guerra che vendica l’offesa subita non porterà mai alla fine delle ostilità. In fondo è una risposta che ha portato a due guerre, una in Afghanistan e una in Iraq, il cui obiettivo era quello di far fuori Bin Laden. Un obiettivo raggiunto 11 anni dopo ma che trascina con sé due conflitti sanguinari ancora in corso.

Chiaramente la morte di Bin Laden significa la rimozione di un’icona e questo è sicuramente importante. Di sicuro è importante per i cittadini americani, per i quali, quell’icona era la dimostrazione dei limiti della potenza dei propri apparati di sicurezza e intelligence. Ma è ovvio che la strategia di collaborazione, di superamento delle conflittualità e sconfitta del terrorismo non può dirsi né conclusa né tanto meno semplificata.