La questione posta da Luigi De Magistris, eurodeputato di Italia dei Valori, al proprio capo partito risulta per diversi motivi ragionevole e condivisibile. Antonio Di Pietro ha certamente il merito di aver creato un partito dal nulla, senza ereditare dirigenti o personaggi politici di altri partiti o di antiche generazioni. una grossa novità per il panorama politico italiano, soprattutto degli ultimi decenni.
Dopo aver compiuto questo piccolo miracolo però, si potrebbe pure pensare di cambiare marcia, lanciare i nuovi dirigenti, riconoscere ai giovani più meritevoli importanti ruoli e determinati spazi. Con l’impegno, da prendere nei confronti dei propri elettori naturalmente, di non cambiare linguaggio, obiettivi, principi.
De Magistris, Sonia Alfano e Giulio Cavalli hanno presentato nei giorni scorsi una lettera-denuncia che metteva al centro proprio il concetto del cambio generazionale. Oltre ad invitare Di Pietro a reagire “duramente e con fermezza alla deriva verso cui il partito sta andando per colpa di alcuni”, il documento lamenta anche forti difficoltà di assemblaggio tra fondatori e militanti storici da una parte e nuove leve dall’altra. Contrapposizioni che, secondo i firmatari, Di Pietro non ha contribuito certo a sciogliere e superare.
Per le sue parole e per l’atteggiamento da "professorino", De Magistris viene spesso accusato di essere interessato solo al posto del capo e di continuare, per questo, a pugnalare alle spalle.
Innanzitutto si potrebbe sostenere che puntare al posto di capo partito ponendo delle questioni serie, raccogliendo consensi all’interno del movimento e fra gli elettori, sfidare un altro modo di guidare un partito con richieste puntuali e precise, sia il metodo più democratico per sfidare la leadership.
Ma detto questo, perché chi tenta di rinnovare viene sempre additato di avere altri fini o, peggio, di fare il gioco del nemico?
De Magistris sarà pure una persona ancora immatura per un posto da leader. Ma perché chi lavora per il partito, ci mette la faccia, raccoglie consenso ed ammirazione per la propria preparazione ed attività politica, nel momento in cui chiede maggiore rigidità, maggiore coerenza ed apertura trova di fronte a sè un muro di sospetti e diffidenza?
Il difetto (o il pregio dipende dal punto di vista) di De Magistris è la sua incapacità a scendere a compromessi. E proprio questo rappresenta un ostacolo insormontabile per chi forse sente già di aver raggiunto il traguardo della propria escalation politica e punta alla semplice conservazione.
E dispiace, invece, non vedere custodita questa sua qualità come preziosa prerogativa dalla quale un vero partito ispirato alla giustizia, al vivere civile ed alla Costituzione, non dovrebbe mai prescindere.